Ricordati in molti documenti a partire dal XIII secolo, ma sicuramente presenti almeno dal secolo precedente, i Porro già allora erano divisi in molteplici rami.
A metà del XIII secolo Oldone Porro figlio di un omonimo che ci risulta già defunto nel 1246, abitava nel castello di Copreno unitamente al fratello Ottone. I due avevano proprietà anche in Camnago, Lentate, Barlassina e Bregnano, nonché in Meda, sulla contrada del mercato. Nel 1257 Oldone fu protagonista di una complessa compravendita di beni in Valtellina, avendo quale controparte il monastero di Santa Redegonda di Milano. Più tardi, ormai anziano, Oldone, questa volta detto di Lentate, riconoscente ai monaci di Chiaravalle che lo avevano ospitato e guarito da una grave malattia, donò libbre 30 di olio all’anno al monastero, con atto inter vivos confermato più tardi nel testamento, aggiungendo poi l’obbligo ai suoi eredi di dare ogni anno ai monaci al giorno della sua morte, un moggio di frumento (circa un quintale di grano), consegnandolo (si fieri potest sine prohibitione Communis Mediolani) alle porte dell’abbazia, perché i frati godessero qualche cosa di più nell’anniversario: “pro pitantia monachorum et conversorum ibi residentium ut in die illa memoria sit inter eos anime”.
A garanzia del lascito il Porro impegnò un terreno di 8 pertiche che egli possedeva in Barlassina e probabilmente altri beni in Bregnanello, il cui affitto, nei desideri del testatore, doveva pervenire al monastero di Chiaravalle. Il Porro morì il 5 di agosto dell’anno 1272 e i frati furono immessi nel possesso dei beni da Giacomo di Monza, servitore del comune di Milano che raggiunse la campagna nei giorni 21 e 22 ottobre, rispettivamente venerdì e sabato, ma il colono di Barlassina si rifiutò di lavorare la terra a vantaggio dei frati, probabilmente indotto a ciò dagli eredi di Oldone stesso. Allora i monaci si rivolsero alle autorità del comune di Milano e ne ottennero ristoro. Tuttavia dal 1276 al 1287 la lite proseguì tra Chiaravalle e gli agnati di Oldone, ovvero Giacomo, Tommaso e Leone Porro.
Se il castello altomedievale dei Porro di Copreno fu un recinto più o meno ellittico, di cui resta traccia nella cartografia ottocentesca e nella toponomastica locale, nonché nel fossato esistente al posto delle attuali vie Montello e Cantore, successivamente il fortilizio si espanse, sino a comprendere tutto il borgo. Nel XIV secolo a occidente e meridione stava il descritto fossato, prolungato sino alla Brera che poi a oriente e settentrione si collegava a una lunga muraglia di ciottoli e mattoni, in parte più antica, costruita sull’alto margine della collina e accessibile solo dalla porta collocata sotto il ponte che dava nome all’omonima contrada. Un paio di torri stavano nel vecchio castello, mentre altre due erano a difesa degli angoli posti verso la Comasina: una diventò più tardi la torre colombaia, l’altra era parte dell’antica casa dei Porro. Presso la contrada del Ponte e quella della Madonna, così ricordata per via di un affresco su uno dei caseggiati medievali ancora esistenti, almeno dal XIII secolo vi risiedevano alcuni dei consorti de Porris, in particolare quelli della famiglia di Romino. Un suo omonimo è ricordato in Copreno nel 1300 tondo, forse nonno o zio del Porro di cui trattiamo ora; un altro omonimo, forse un nipote, padre di Grazio, era già defunto nel 1433. Prima che Luchino Visconti passasse a miglior vita nel 1349, probabilmente per la peste, il signore di Milano aveva ordinato ai principali giuristi di Lombardia la riforma degli Statuti. Gli successe nella signoria l’arcivescovo Giovanni Visconti che non pienamente soddisfatto del lavoro, nel 1351 invitò altri giuristi a revisionare l’opera e tra questi emerse il famoso giureconsulto Romino Porro. L’opera di revisione di Romino e dei suoi colleghi, produsse la suddivisione delle norme in otto libri: giurisdizione, criminalità, civile, straordinari, alimentare, dazio, mercanzia, mercato delle lane.
Nel 1371 Romino era ancora vivo, ma nel 1392 è ormai ricordato come defunto da qualche tempo e i suoi eredi gli succedettero nella titolarità di ampi beni in Copreno. Romino lasciò un testamento a noi noto solo in transunto, secondo il quale avrebbe lasciato beni alla chiesa di San Pietro Martire “presso Barlassina” e Meda, dove fu sepolto.
Al principio del Quattrocento, un ramo dei Porro era rappresentato da Ludovico, capitano dell’esercito ducale e figlio di un Lanfranco che pur parente quasi coevo, non deve essere confuso con l’omonimo di Mocchirolo; Ludovico lasciò in eredità molte sostanze a sua figlia Giovannina che sposò un Secco di Caravaggio e la figlia di questi ultima, Apollonia, trasmise tutto agli Avogadro che per questo motivo dalla metà del Quattrocento s’insediarono a Copreno. Il passaggio di importanti beni per tramite di due donne scatenò una faida tra gli altri Porro del ramo di Romino e gli Avogadro, per questioni evidentemente legate alla successione dei diritti feudali e allodiali, la cui trasmissione poteva differire a seconda del sesso degli eredi. Probabilmente alla stessa Giovannina Porro si deve la committenza delle pitture Quattrocentesche presenti nell’oratorio di San Francesco Saverio, presso il cimitero, opera del pittore Lanfranco da Lecco.
Il ramo di Romino proseguì con un Grazio, vissuto ai primi del Cinquecento, dai cui nipoti discesero i Porro per circa tre secoli primeggiarono nel borgo, ma verso la fine del Settecento vendettero l’intera proprietà ai Beccaria. A questo ramo dei Porro appartenne anche il patronato di una cappella in Sant’Alessandro, quella alla sinistra, rispetto l’ingresso, dove questi Porro avevano anche il sepolcro.
Altri Porro avevano residenza negli edifici d’origine medievale che stanno in Via Trieste e che da circa un secolo sono di proprietà della famiglia Zerbi di Saronno.